Uno dei problemi più delicati connessi con l’introduzione di nuove tecnologie è dovuto alla persistenza di vecchi modi di pensare, estremamente radicati nella mente umana, che non sono più validi nella nuova situazione. Consideriamo per esempio il cambiamento globale di prospettiva dovuto all’introduzione delle armi nucleari. Gli arsenali di ciascuna delle due superpotenze contengono qualche decina di migliaia di bombe atomiche: dato che ciascuna bomba è in grado di distruggere una città, uno scambio nucleare in cui venisse utilizzato solamente qualche percento delle capacità distruttive, eliminebbe per un lungo periodo ciascuna delle due superpotenze (e dei loro alleati) dalla lista degli stati civilizzati.
Per di più studi recenti suggeriscono che come conseguenza di una guerra nucleare, anche se limitata, si potrebbero formare delle nuvole estremamente spesse, che oscurerebbero il sole (almeno nell’emisfero Nord) per circa un’anno producendo una diminuzione della temperatura di dieci-venti gradi (inverno nucleare). Una simile catastrofe renderebbere estremamente difficile la sopravvivenza di molte specie vegetali e animali (tra cui l’uomo) nell’emisfero Nord. Nonostante questo quadro decisamente poco allegro, molti continuano a pensare che una guerra nucleare si possa vincere, e anche coloro che sono ben coscenti delle consequenze terrifcanti di un conflitto nucleare, possono scoprirsi a domandare a se stessi: “ma in fondo chi è più forte, gli Stati Uniti o l’Unione Sovietica?”
L’idea che fra i due contendenti ci possa essere un più forte, che le guerre si possano vincere, come sono state sembre vinte in passato continua a persistere in maniera più o meno coscente.
Una situazione simile, e in qualche modo anche più grave, è presente quando dobbiamo valutare i pericoli indotti da agenti cancerogeni o mutageni (sostanze chimiche o e radiazioni ionizzanti di origine nucleare). L’idea superata che non scompare, anzi è presente in tutta la legislazione, è quella di soglia. Tutti noi, penso, ci ricordiamo quando aspettavamo che il numero di NanoCurie (o forse erano Bequerel?) contenuti nel latte e negli spinaci passasse sotto la soglia di pericolosità per poter ricominciare a consumare quegli alimenti, quando i varii paesi della comunità litigavano su quale dovesse essere la soglia di radiottività per le esportazioni alimentari o quando i nostri ministri dichiaravano che mangiare le verdure a foglia larga non era pericoloso, ma era meglio non farlo, usando argomenti del tipo che due paracadute sono meglio di uno.
In realtà non esiste nessuna soglia, se non nella mente nostra o dei legislatori. In prima approssimazione, la stessa quantità di radiottività complessiva (un Rem per esempio), somministrata a mille persone (un millesimo di Rem a testa) o ad un milione di persone (un milionesimo a testa) o a un miliardo di persone (un miliardesimo di Rem a testa) produce ìn media lo stesso danno totale, ovvero lo stesso numero di casi di tumori o malformazioni genetiche.
Questa affermazione è contraria al senso comune: dieci litri di grappa ingeriti da una singola persona hanno un’effetto letale (o quasi). La stessa quantità di grappa divisa fra mille persone (un goccettino da 10 centrimetri cubici) non causa certamente nessun morto. Nello stesso modo se 200 caffè in una giornata sono una dose mortale per una singola persona, i due milioni di caffè consumati giornalmente a Roma non uccidono certamente diecimila persone al giorno. Per tutte le sostanze in cui gli effetti patogeni siano a breve termine e quindi facilmente osservabili, esiste una soglia al disotto della quale gli effetti sono trascurabili o non osservabili.
Al contrario per gli agenti cancerogeni o mutageni la situazione è completamente diversa: non esiste una soglia al disotto della quale non si registrano effetti, ma gli effetti sono strettamente proporzionali alle dosi (almeno nella regione di piccola dose). Risulta molto difficile impadronirsi fino in fondo di questa stupefacente proprietà di assenza di soglia (ne illustreremo tra poco le basi biologiche): se tuttavia facciamo uno sforzo, ci rendiamo conto dell’ipocrisia del concetto di soglia applicato per esempio alla legislazione del lavoro.
Visto che non esiste una soglia in natura, se fossimo dei legislatori, quali criteri sceglieremmo per introdure una soglia nelle leggi? Consideriamo per esempio la quantità massima di radiazioni che un operaio può assorbire in un anno in un ambiente a rischio dal punto di vista radioattivo.
Potremmo per esempio decidere di fissarla ad un millesimo della quantità necessaria a produrre un tumore. Se facciamo questa scelta una ditta che deve fare riparazioni nel cuore di reattori nucleari, in cui gli operai assorbono in totale per un anno una dose di 10 volte quella necessaria per avere un tumore indotto da radiazioni, dovrebbe impiegare diecimila operai e i tumori indotti dalle radiazioni sarebbero 10 in media. Infatti ogni operario assorbe una dose uguale ad un millesimo di quella letale e ha una probabilità un millesimo di sviluppare un tumore; il numero totale di tumori non è costante, ma oscillerà intorno al 10.
Se spostiamo il limite ad un decimillesimo, il numero di operai sale a centomila, ma i tumori da radiazioni restano 10 in media, avendo ogni ogni operario una probabilità di un decimillesimo di sviluppare un tumore. Nello stesso modo, se il limite è spostato ad un centesimo, il numero di operai scende a mille, ma il numero totale di tumori da radiazioni rimane sempre 10 in media. La probabilità di avere un tumore è quindi strettamente proporzionale alla radiazione assorbita e non esiste un soglia al disotto della quale gli effetti sono praticamente nulli.
La legislazione sociale contro i rischi sul lavoro in prima approssimazione non serve affatto a diminuire i casi di tumori. Al contrario una legislazione con una soglia troppo alta avrebbe l’effetto di concentrare i casi di tumori da radiazioni su un numero piccolo di operai e quindi renderne la la loro presenza manifesta agli occhi di tutti. Nella situazione estrema lavorano solo dieci operai, ciascuno di essi si ammala in media dopo un anno e deve essere sostituito. Una tale situazione estrema è intollerabile, non perché ci siano più morti, ma perché sappiamo identificare con certezza i morti per causa delle radiazioni.Una soglia sufficientemente bassa abbassa la percentuale di tumori da radiazione (non il numero totale) e permette di nascondere meglio l’esistenza di questi tumori indotti in mezzo ai tumori naturali.
Ci sentiamo in colpa se conosciamo il nome e cognome di una persona o possiamo identificarla. I venti morti di due tre anni fa a causa dell’alcol metilico nel vino, colpiscono l’immaginazione perché sono morti con nome e cognome, con dei familiari che piangono in televisione; venti morti per tumori creati da agenti cangerogeni chimici o nucleari, che non possiamo identificare fra le decine di migliaia dovuti ad altre cause, non ci fanno affatto impressione.
L’argomentazione è chiaramente paradossale; in realtà abbassare il valore della dose massima consentita diminuisce i rischi in quanto rende più costosa la lavorazione e spinge l’impresa a diminuire le lavorazioni pericolose. In realtà bisognerebbe eliminare le lavorazioni pericolose. L’effetto benefico della legislazione di protezione è quindi indiretto. Una normativa in cui si controllino direttamente le quantità di agenti cancerogeni assorbiti globalmente da tutti gli addetti alle lavorazioni, anche se concettualmente è più lineare, è estremamente più difficile a realizzare: da un lato bisognerebbe autorizzare le singole aziende, e quindi sarebbe necessario un numero estremamente alto di trattative, dall’altro lato lo Stato non farebbe una bella figura autorizzare una data ditta a causare 10 (o 5) tumori l’anno. Si preferisce quindi di agire sui costi, sperando che la ricerca del massimo profitto faccia diminuire le lavorazioni nocive.
Ma, a questo punto si domanderà il lettore, perché non c’è una soglia per gli effetti mutageni e cancerogeni? Non è difficile rispondere a questa domanda, se esaminiamo in dettaglio l’origine dei tumori.
Negli ultimi anni non si è riusciti a fare progressi definitivi nella cura del cancro, ma la comprensione dei meccanismi biologici alla base del cancro è estremamente migliorata. Come è noto, le attività delle cellule sono controllate dal DNA, nel quale sono codificate sia la formula chimica delle proteine che possono essere prodotte da una determinata cellula, sia, in maniera più complessa, quali parti del DNA devono essere attive, ovvero quali fra le proteine che la cellula è capace di produrre, deve essere effettivamente prodotta.
Una modifica nel contenuto del DNA (ovvero una mutazione) di una cellula ha normalmente o nessun effetto o effetti catastrofici per la cellula (morte della cellula), ma non ha conseguenze serie per l’organismo. Tuttavia esistono delle zone del DNA (dette protooncogeni) in cui una modifica minima del DNA (per il cambiamento di un singolo acido nucleico della della sequenza) trasforma la cellula normale in una cellula cancerogena. La singola cellula cancerogena incomincia a riprodursi e se riesce a sfuggire alla sorveglianza del sistema immunitario, si produce un tumore. Fortunatamente il numero di zone pericolose è abbastanza piccolo.
Un tumore è quindi originato direttamente da un singolo evento molecolare, cioè dalla sostituzione di un gruppo chimico con un altro in una singola molecola di DNA di una singola cellula dell’organismo. Non tutte le cellule trasformate danno luogo ad un tumore, ma in prima approssimazione il numero di tumori è proporzione al numero di cellule trasformate, nello stesso modo in cui il numero di evasioni riuscite da un carcere è proporzionale al numero di evasioni tentate.
Se il cancro è effetto di una mutazione, per capire l’origine del cancro, dobbiamo capire l’origine delle mutazioni. La cellula possiede tutta una serie di stategie per ridurre al massimo il numero di mutazioni: se il danno al DNA è piccolo la cellula è in grado di ripararlo, compiendo raramente degli errori; se il danno è più grave, gli errori diventano quasi inevitabili. Esiste tutta una serie di composti chimici che possono danneggiare il DNA in maniere completamente diverse, o mediante un attacco chimico diretto, o mediante l’induzione di altre sostanze che danneggiano direttamente il DNA. Per esempio le radiazioni ionizzanti producono dei radicali liberi che sono i responsabili diretti delle mutazioni.
Questi meccanismi sono molto diversi da quelli a cui siamo abituati: grandi quantità di veleno impediscono il funzionamento normale dell’organismo, ma piccole quantità hanno effetti del tutto trascurabili: esiste quindi una soglia. Al contrario una singola molecola di una sostanza mutagena, è capace di danneggiare il DNA e di indurre un tumore: la probabilità che molte molecole riescano ad indurre un tumore sarà strettamente proporzionale al numero di molecole mutagene; non esite una soglia di sicureszza e piccole dosi pro capite, assorbite da una grande popolazione, possono facilmente avere effetti letali.
Al momento attuale, è praticamente impossibile dedurre la cangerogenicità di un nuovo composto chimico, semplicemente studiando la formula chimica a tavolino. Ragionando per analogie si possono ovviamente ottenere delle indicazioni, che non sono però sufficienti per garantire l’innocuità del prodotto. La situazione è particolarmente drammatica in quanto migliaia, se non decine di migliaia di nuovi composti chimici, entrano nell’ambiente ogni anno. Fare test con animali, prima di immettere un nuovo composto, sarebbe auspicabile, tuttavia, sia a causa del costo (qualche centinaio di milioni per sostanza) che del tempo (tre anni), questa strada non è seguita e la maggior parte dei nuovi composti chimici viene prodotto senza garanzie serie della sua innocuità. L’industria è talmente lontana dal voler scrutinare tutti i composti accuratamente, che molto spesso sostanze ben note per essere cancerogene, sono utilizzate senza scrupoli: esempio tipico la formaldeide, noto mutageno, che veniva messo nelle caramelle per il mal di gola e viene ancora messo nei fazzoletti bagnati per pulire il sedere dei bambini.
Il test principale che viene fatto come routine per determinare la mutagenicità (e quindi come abbiamo visto la cangerogenicità) di una nuova sostanza chimica è il test di Ames.
La procedura consiste nell’utilizzare un ceppo speciale di Salmonelle (gli agenti patogeni del tifo) che hanno bisogno per crescere di una sostanza, l’istidina. Il ceppo normale di Salmonelle cresce tranquillamente senza istidina e le Salmonelle istidina-dipendenti si possono trasformare in Salmonelle normali mediante una mutazione. Se mettiamo quindi delle Salmonelle istidina-dipendenti in un ambiente che non contiene istidina, non si svilupperanno a meno che non avvenga una mutazione. Se aggiungiamo una sostanza mutagena, questa sostanza indurrà delle mutazioni e quindi favorirà la comparsa di Salmonelle che cresceranno normalmente in assenza di istidina. Misurando quindi il tasso di crescita di queste Salmonelle istidina dipendenti in un ambiente che non contiene istidina, ma contiene la sostanza da esaminare, si misura la capacità mutagene della sostanza.
Sfortunatamente molte sostanze non sono direttamente mutagene, ma lo diventano quando sono trasformate nell’organismo: molto spesso lo spezzarsi di queste sostanze in componenti più semplici avviene nel fegato e da luogo a sostanze direttamente mutagene. Per risolvere questa difficoltà veggono aggiunti estatti epatici di ratto allo scopo di far effettuare alcune delle reazione chimiche che normalmente si svolgono nel fegato.
Si tratta di un test approssimativo (un 5-10 per cento di sostanze note come cangerogene risultano innocue secondo questo test), che può essere effettuato con poca spesa e in poco tempo. Il test di Ames è risultato molto utile per eliminare tante sostanze cancerogene in circolazione, ma è chiaramente insufficiente.
Non è facile trovare una soluzione a questo problema; se si decidesse tuttavia di dare la priorità all’eliminazione delle sostanze cancerogene (il che comporterebbe una diminuzione sostanziale dei casi di tumori) sarebbe necessario mettere sotto controllo strettissimo tutta l’industria chimica e ristrutturare buona parte dell’agricoltura che si basa pesantemente sull’uso di sostanze assai dubbie: inoltre l’impossibilità pratica di determinare la cangerogenicità di tutte le nuove sostanze che verranno immesse in circolo nel futuro (è già un’impresa disperata esaminare quelle attualmente esitenti) suggerisce che l’unica possibilità sia una moratoria abbastanza stretta per l’introduzione di nuove sostanze chimiche.
Le forze economiche che si opporrebbero ad un’operazione di questo tipo hanno una preponderanza schiacciante: basti pensare che un provvedimento minimale come l’eliminazione di tutti i coloranti chimici dagli alimenti sembra essere qualcosa di inconcepibile. Tuttavia la battaglia per l’elimanazione delle sostanze cangerogene ha alla lunga un’importanza uguale, se non maggiore, di quella contro il nucleare, per quanto riguarda gli effetti sulla vita di tutti i giorni. Si tratta di una lunga battaglia, non facile a vincersi, e il primo passo consiste nel convencersi che quando si tratta di sostanze cancerogene e mutagene, non esiste una dose minima innocua, ma “ogni dose è un’overdose”.