L’attuale organizzazione dell’universita’ lascia molto a desiderare. E’ cruciale che la sinistra si renda conto delle carenze piu’ gravi, suggerisca dei rimedi e porti avanti una battaglia innovativa, altrimenti si rischia di lasciare alla destra il monopolio dell’iniziativa. Un punto importante e molto difficile da risolvere, ma sfortunatamente poco discusso, riguarda i professori che insegnano materie che corrispondono a delle professioni liberali: medici, ingegneri, architetti, avvocati…
Infatti mentre e’ ragionevole pensare che un matematico o un’esperto di storia antica svolga tutta la sua attivita’ di studio e di ricerca dentro l’universita’, un ingegnere, professore di scienze delle costruzioni ogni tanto deve progettare una diga, se insegna come costruirla, altrimenti la sua conoscenza e’ puramente teorica e non risulta molto utile agli studenti. Lo stesso argomento vale per un professore di patologia generale.
La necessita’ per un medico di svolgere un’attivita’ professionale e’ talmente forte che le facolta’ di medicina hanno costruito nel loro interno dei policlinici in cui gli studenti ed i professori lavorano (la quasi totalita’ dei medici ha anche un’attivita’ privata, in genere molto meglio ricompensata dello stipendio universitario). Nelle altre discipline non e’ avvenuta una paragonabile internalizzazione delle attivita’ professionali: l’universita’ non progetta dighe, ne’ ha uno studio legale a cui il pubblico puo’ rivolgersi; se i docenti delle materie non mediche hanno un’attivita’ professionale, questa si svolge completamente al di fuori dell’universita’.
Non e’ certo un bene che la fonte principale degli introiti di alcuni professori universitari provenga da attivita’ con cui l’universita’ non ha niente da spartire e neanche e’ auspicabile che un docente trascorra all’universita’ solo le duecentocinquanta ore annue che e’ teoricamente obbligato per legge a dedicare alla didattica.
Non e’ affatto chiaro quale sia la strada giusta da seguire per risolvere questo problema e per riportare dentro l’universita’ il centro degli interessi di ciascun docente.
Se seguiamo la strada di proibire ai professori universitari ogni attivita’ professionale senza fare nessun altro cambiamento rischiamo di espellere dall’universita’ delle competenze essenziali e questa soluzione sembra essere inaccettabile.
La legge Ruberti ha ben presente questo problema e propone di risolverlo permettendo ai singoli professori di trasferire parte della loro attivita’ professionale dentro l’universita’ senza tuttavia perdere i guadagni corrispondenti. Se questa proposta venisse approvata c’e’ il pericolo che i professori siano tentati a scegliere le attivita’ piu’ remunerative. L’universita’ correrrebbe il rischio di essere trasformata in un’impresa commerciale al servizio degli interessi dei docenti.
Forse una soluzione piu’ soddisfacente consiste nell’estendere alle altre facolta’ il tipo di organizzazione attuamente presente a medicina. I medici sono obbligati a trascorre un certa quantita’ del loro tempo nei policlinici e devono quindi esercitare la professione di medico in strutture universitarie.
Allo stesso modo sarebbe possibile la creazione di studi legali, di ingegneria civile e di altre materie, gestiti dall’universita’. Qualunque docente che volesse svolgere un’attivita’ professionale al di fuori dell’universita’ dovrebbe essere obbligato a contribuire per una parte non trascurabile del suo tempo alla gestione di queste iniziative. La retribuzione dei docenti che collaborano a queste iniziative rimane un punto chiave. In prima approssimazione a costoro non dovrebbe spettare nessun aumento retributivo, in quanto gli altri docenti svolgono all’interno dell’univerisita’ un lavoro di ricerca per un’uguale, se non maggior quantita’ di tempo; l’assenza di interessi pecuniari diretti dei singoli docenti e’ una garanzia essenziale per non stavolgere il senso di questa iniziativa.
Non sembra un scelta facile e nessuna alternativa e’ pienamente soddisfacente, forse la soluzione migliore e’ ancora da inventare; in tal caso bisogna sbrigarsi.