La lezione di Parisi: spingere l’Italia a prendere atto che la scienza è cultura

Giorgio Parisi

“Oggi – dice il premio Nobel – viviamo in un periodo di pessimismo, segnato da tante crisi: economica, climatica, sociale. L’idea che il domani sarà migliore dell’oggi non è più una verità e le magnifiche sorti progressive leopardiane non sono più valide”

GABRIELE BECCARIA24 DICEMBRE 2021

«Se l’avessi potuto spiegare a una persona qualsiasi, allora non sarebbe stato degno del premio Nobel». Richard Feynman amava provocare e lui, fisico, studioso di meccanica quantistica, sapeva quanto l’ironia scivolasse su un confine incerto: farsi capire o rinunciare e continuare il lavoro di laboratorio. Feynman è stato un maestro della divulgazione, nonostante la sconcertante complessità dell’infinitamente piccolo, e molti colleghi amano ricordarlo. Anche Giorgio Parisi, neo-Nobel, premiato per la fisica il 6 dicembre: come Feynman è un convinto sostenitore della scienza «friendly», aperta e sorridente, rivolta anche a chi scienziato non è. Sia per spingere bambini e giovani a studiarla e a praticarne le discipline sia per convincere gli adulti – dai politici all’opinione pubblica – della sua indispensabilità.
E infatti, nella prima lezione pubblica, all’università Sissa di Trieste, Parisi ha rievocato lo spirito ribelle di Feynman, Nobel nel 1965, con un’altra sua frase a effetto: «La scienza è come il sesso: certo, può avere delle conseguenze pratiche, ma non è questo il motivo per cui lo pratichiamo». La ricerca, in effetti, oltre a impegnare e divertire e a volte perfino a estasiare chi la fa, è un insieme di onde che si propagano nella società. Onde che offrono soluzioni e che, inevitabilmente, generano ulteriori problemi, e che fanno funzionare il mondo. «La scienza è essenziale per qualunque cosa. Basti pensare all’elettronica che usiamo ogni giorno. Senza la meccanica quantistica – ha ricordato Parisi, citando, appunto, la dimensione preferita da Feynman – non esisterebbe». Senza dimenticare la battaglia che ci oppone al virus. «I vaccini a disposizione contro il Covid-19 sono il risultato di uno sforzo trentennale di studi».

Parisi, tuttavia, esploratore delle leggi della complessità che dalle particelle della materia arrivano fino ai modellli climatici, non si è fermato a questo punto. Lui, dall’osservatorio privilegiato di ricercatore, accademico e divulgatore, non si stanca di ripetere – in lezioni e interviste – che «la scienza è cultura». Al di là delle scoperte e delle invenzioni, la scienza è un laboratorio di saperi che si separano e si intrecciano. E’ – con felice metafora – «un fuoco che illumina». Ognuno di noi e la società.

La scienza è anche motore del nostro destino di specie che, ambiziosamente, si autodefinisce Sapiens. E’ il motivo per cui deve essere trattata con le necessarie attenzioni. Deve ricevere fondi adeguati. E ha bisogno di programmazione e visione, di regole e leggi adeguate. Insomma, di un approccio saggio, in grado di metterla al centro delle sfide che si dà una nazione nel XXI secolo. Non è un caso che la rovente contrapposizione tra Usa e Cina si giochi su una supremazia che ha come carburante il binomio scienza&tecnologia. «Servono finanziamenti costanti, ogni anno, e serve un aumento dei finanziamenti stessi, perché l’Italia – ha ammonito Parisi in più occasioni – è il fanalino di coda nella ricerca e non si fanno le nozze con i fichi secchi». La Corea del Sud spende tre volte più di noi in fatto di Ricerca&Sviluppo e le conseguenze si vedono: una nazione relativamente piccola è ai vertici del business e del «soft power». Confermando l’analisi di Parisi che la scienza è cultura nel senso più vasto del termine, oltrepassando le desuete barriere tra umanesimo e «saperi pratici», Seul è una fucina di creatività e il dilagare del fenomeno dello «Squid game» è l’esempio clamoroso.
In fatto di ricerca e delle sue sfaccettature, da quelle teoriche a quelle applicative, l’Italia ha molto da imparare. A patto che la sua classe dirigente lo voglia.
«Al momento – si rattrista Parisi, parlando del nostro Paese – non è accogliente per i ricercatori e non lo è per i giovani. Se non ci sono fondi per la ricerca, perché una persona, dopo aver fatto esperienza all’estero, dovrebbe tornare in Italia, senza garanzie di lavorare bene e senza garanzie per il futuro? Senza una posizione a tempo indeterminato è difficile mettere su famiglia, comprare una casa, ottenere un mutuo». Ogni volta che la scienza entra in scena si ripresenta il concetto di futuro, segnato da promesse e minacce.

«Oggi – commenta Parisi – viviamo in un periodo di pessimismo, segnato da tante crisi: economica, climatica, sociale. L’idea che il domani sarà migliore dell’oggi non è più una verità e le magnifiche sorti progressive leopardiane non sono più valide». Le nubi della sfiducia si distendono ovunque, dalla politica al business e gettano ombre sulla stessa scienza. Che a volte è percepita come una formula magica, capace di risolvere istantaneamente problemi, e, spesso, sull’onda della pandemia, come – commenta Parisi – «una causa del declino». Il contrario di quanto effettivamente è. Così crescono i movimenti anti-scienza, di cui i no-vax, sono la punta dell’iceberg.
Si impone, quindi, uno sforzo di comunicazione. La ricerca del XXI secolo è un’indagine proiettata nel futuro e allo stesso tempo un dialogo ben piantato nel presente e nelle sue emergenze.