Ingegneria genetica

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In questi ultimi mesi si è molto discusso in molti paesi d’Europa (ed anche in ambito comunitario) sulla creazioni di nuove leggi che autorizzino il rilascio nell’ambiente di organismi modificati con tecniche di ingegneria genetica. Diversi paesi hanno espresso punti diversi. Per esempio la commissione reale britannica per l’inquinamento ambientale propone che vengano fatte analisi molto dettagliate prima di autorizzare il rilascio di organismi modificati in Gran Bretagna, indipendentemente dal fatto che gli stessi organismi siano stati autorizzati ad essere rilasciati in altri paesi con la giusta motivazione che l’ambiente varia da paese a paese e quello che può non essere dannoso in Grecia, può esserlo in Scozia. Al contrario la commissione europea è favorevole a una singola autorizzazione valida per tutti i paesi della comunità europea, lasciando ai singoli stati la possibilità di vietare l’introduzione di organismi ritenuti pericolosi. L’Italia non sembra partecipare molto attivamente a questo dibattito.

Tutto ciò mi ricorda le discussioni di dieci-quindci anni fa (prima di Three Miles Island e di Chernobyl) sulle centrali elettriche nucleari: le giuste preoccupazione degli ambientalisti sono fermamente rigettate da una comunità scientifica molto compatta (tranne qualche eretico) nel negare la possibilità che organismi modificati con tecniche di ingegneria genetica possano fare seri danni e accusano coloro che non condividono questo punto di vista di essere degli ignoranti presuntuosi, contrari alle sorti magnifiche e progressive dell’umanità. Anche in questo caso gli interessi economici che spingono per un’apertura del mercato sono estremamente elevati: basta pensare all’utilizzo in agricoltura di batteri che fissano l’azoto sulle radici delle piante al posto dei convenzionali concimi azotati e delle mucche che producono un latte che rassomiglia molto a quello di pecora; la prima preoccupazione delle industrie è di procurarsi brevetti allo scopo di garantirsi un’egemonia sul futuro mercato.

In realtà è estremamente difficile essere sicuri sugli effetti ambientali di organismi modificati: sulla terra vivono qualche milione di specie animali e più di dieci milioni di specie vegetali in equilibrio (per non parlare dei virus) e non vedo come si possa essere sicuri di come questo equilibrio venga modificato dall’introduzione di una nuova specie. Le mucche che producono il latte di pecora (e forse in futuro la cioccolata) non sono pericolose quanto batteri od altri organismi che possono svilupparsi al di là di ogni controllo. Quasi paradossalmente l’incapacità dei fautori del rilascio di organismi modificati a controllare gli effetti risulta dal fatto che alla domanda quale è la probabiltà di un effetto castatrofico, rispondono sempre in maniera categorica nessuna. In realtà non c’è mai niente di impossibile: eventi apparentemente impossibili, come il ghiacciarsi spontaneo di una bottiglia d’acqua col caldo d’estate, sono possibili, ma con una probabilità estrememante piccola, che in questo caso si può stimare abbastanza bene: la bottiglia gela in media dopo un numero di anni 10 seguito da un milione di milairdi di miliardi di zeri. Il non saper stimare la probablità di un evento, per quanto essa sia piccola, significa che non si ha il controllo teorico dei meccanismi attraverso i quali l’evento può accadere: la risposta mai e molto più sospetta che una volta su un miliardo.

Non bisogna farsi impressionare dalle proteste dei biologi, che sono emotivamente a favore dell’utilizzazione dei prodotti della loro ricerca e non possono esprimere un giudizio distaccato e fare tutti gli sforsi per evitare o perlomeno per ritardare l’immissione di organismi nell’ambiente. Il negare la possibilità di brevettare organismi viventi sarebbe un primo passo per diminuire l’interesse delle grandi industrie in questo settore per poter quindi prendere decisioni senza essere sottoposti a pressioni esterne.