Nobel per la fisica a Parisi per le scoperte sulla teoria dei sistemi complessi

di Umberto Bottazzini

La notizia era nell’aria da un paio di settimane, da quando si era saputo che il suo nome era stato inserito tra i Clarivate Citation Laureates, l’elenco compilato dall’Institute for Scientific Information che comprende gli scienziati che possono vantare pubblicazioni tra le più citate al mondo.

Ma all’inizio di quest’anno Giorgio Parisi, professore emerito di Fisica teorica alla Sapienza di Roma, e allora Presidente dell’Accademia dei Lincei, aveva ricevuto un altro importante riconoscimento, che negli ambienti della fisica italiana lasciava intravedere la possibilità di una implicita candidatura al Nobel. In febbraio, infatti, aveva ricevuto un premio prestigioso, anche se meno noto al grande pubblico, il Premio Wolf per la fisica «per le sue scoperte pionieristiche nella teoria quantistica dei campi, in meccanica statistica e nei sistemi complessi». Nella motivazione del Premio Parisi era riconosciuto come «uno dei più creativi e influenti fisici teorici degli ultimi decenni. Il suo lavoro ha un grande impatto su diverse branche delle scienze fisiche», dalla fisica delle particelle ai fenomeni critici e i sistemi disordinati.

In fondo, si prefigurava già la motivazione che lo ha portato al Premio Nobel per la fisica, che quest’anno è in particolare sintonia con temi che occupano con frequenza quotidiana le pagine dei giornali. Abbiamo assistito nei giorni scorsi alla Youth4Climate, la conferenza dei giovani sul clima che si è tenuta a Milano come introduzione alla riunione dei ministri dell’Ambiente, in preparazione della Cop26, e alle manifestazioni dei giovani che sono scesi in piazza per manifestare le loro preoccupazioni per il cambiamento climatico e il futuro del pianeta. Questo tipo di preoccupazioni hanno trovato eco anche nell’attribuzione del Nobel per la fisica. «Quest’anno il Premio Nobel per la fisica si concentra sulla complessità dei sistemi fisici, da quelli su più larga scala sperimentati dagli esseri umani, come il clima terrestre, fino alla struttura microscopica
e alla dinamica di materiali misteriosi e al tempo stesso comuni come il vetro», si legge nel rapporto del comitato Nobel.

«Ci rendiamo conto che gli scienziati sono consapevoli che nessuna singola previsione di qualunque cosa può essere considerata una verità inattaccabile, e che senza comprendere le origini della variabilità non possiamo comprendere il comportamento di nessun sistema». Così, una metà dell’ammontare del premio Nobel è stato congiuntamente assegnata a Manabe e Hasselmann «per la loro modellazione fisica del clima terrestre, quantificando la variabilità e prevedendo in modo affidabile
il riscaldamento globale».

Syukuro Manabe, un metereologo giapponese che lavora a Princeton, «ha dimostrato che livelli crescenti di anidride carbonica nell’atmosfera portano a temperature crescenti sulla superficie terrestre». I suoi lavori negli anni Sessanta del secolo scorso hanno posto le basi per gli attuali modelli climatici. Una decina d’anni dopo Klaus Hasselmann, professore al Max Planck Institute di Meteorologia di Amburgo, «ha creato un modello che collega tempo e clima» che consente di comprendere perché «i modelli climatici possono essere affidabili nonostante il tempo sia mutevole e caotico». Ha inoltre sviluppato metodi usati per provare che l’aumento di temperatura dell’atmosfera è dovuto alle emissioni di anidride carbonica provocate dall’uomo. L’attività di Manabe e Hasselmann riguarda più propriamente l’aspetto modellistico legato alla questione del cambiamento climatico.

L’altra metà del Premio è andata a Parisi per gli aspetti teorici della questione, in particolare «per la sua scoperta dell’interazione tra disordine e fluttuazioni nei sistemi fisici dalla scala atomica a quella planetaria». Verso il 1980, si legge nel rapporto del Comitato per il Nobel, Parisi ha fatto «scoperte che figurano tra i più importanti contributi alla teoria dei sistemi complessi», che hanno permesso di comprendere e descrivere molti materiali e fenomeni differenti e apparentemente casuali nelle aree più diverse. In fisica, certo, ma anche in matematica, biologia e neuroscienze. I contributi di Parisi spaziano dalla fisica delle particelle alla meccanica statistica, ai vetri di spin, la materia condensata, i supercomputer e le reti neurali.

Le scoperte premiate quest’anno, ha affermato il presidente del Comitato per il Nobel, «dimostrano che le nostre conoscenze sul clima poggiano su solide fondamenta scientifiche, basate su una rigorosa analisi delle osservazioni». Insomma, tutti e tre i vincitori del premio hanno contribuito a «farci acquisire una visione più profonda delle proprietà e dell’evoluzione dei sistemi fisici complessi». Comportamenti di sistemi complessi esemplificati dalle spettacolari evoluzioni di stormi di storni nei cieli di Roma, come Parisi amava talvolta mostrare nelle sue conferenze.

Allievo di Nicola Cabibbo, col quale si laureò nel 1970 («Avrebbero dovuto dare a lui il premio, non a me. È stato un grande fisico e ha infuso conoscenza ed entusiasmo a una generazione di fisici italiani, me compreso», ha commentato a caldo Parisi all’annuncio del Premio), a Roma si è svolta tutta la carriera scientifica di Parisi. Su consiglio di Cabibbo, una tappa importante nella sua formazione scientifica fu l’attività di ricerca presso i Laboratori dell’Istituto nazionale di fisica nucleare a Frascati, vicino Roma.

Una carriera intervallata da lunghi soggiorni e da premi e riconoscimenti da parte di istituzioni scientifiche e accademie. E come Presidente dell’Accademia dei Lincei (attualmente è vicepresidente) si è impegnato a fondo nella battaglia contro la pandemia e in difesa della scienza. «Abbiamo la consapevolezza che un’altra pandemia verrà. Cosa dobbiamo fare per non farci trovare impreparati? Cosa deve fare la Scienza per prepararsi alla pandemia e cosa devono fare i governi per aiutare la Scienza ad andare in questa direzione?» chiedeva Parisi l’anno scorso in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dei Lincei. L’Accademia non può rimanere indifferente di fronte «all’enorme interesse di un pubblico sempre più vasto per la scienza e per le ultime novità scientifiche».

Nel combattere la pandemia la scienza ha avuto un ruolo importante. «Ma questo interesse nella Scienza ha avuto una ricaduta insospettata. Molte persone sono rimaste sconcertate dal vedere scienziati illustri accapigliarsi con la stessa veemenza che potrebbero avere esponenti politici di partiti diversi. Questo stupore è dovuto anche a una incomprensione del meccanismo in cui si forma il consenso scientifico. Quando si verifica un fatto nuovo, scienziati diversi propongono interpretazioni diverse». Provando e riprovando come diceva Galileo, «aumentando le conoscenze con nuovi dati, con nuovi esperimenti, si forma lentamente un consenso attorno a una delle interpretazioni proposte». Così procede la scienza.