Nobel a Giorgio Parisi, un premio al grande valore della fisica italiana

Dai protoni alla meccanica statistica, lo studio dei sistemi complessi di Giorgio Parisi si sposa con il lavoro di Manabe e Hasselman sul climate change

di Leopoldo Benacchio

Un premio allo studio del clima, alla difficoltà di capire come questo sistema incredibilmente complesso si comporta, alla possibilità di prevedere il suo divenire, allo studio del riscaldamento globale svelato nel suo evolvere. È questo il senso del Nobel per la Fisica 2021 assegnato a tre persone: Syukuro Manabe, Klaus Hasselmann e Giorgio Parisi

Ma soprattutto, per noi italiani e italiane, fisici o meno che siamo, è una gioia immensa, quella di veder riconoscere finalmente il valore della nostra scuola in questa materia, che fa riferimento a Fermi e che spesso è stata, anche recentemente, penalizzata in questa nobile gara per il Nobel, nobile ma piena di spintoni e trabocchetti.

È un premio per i suoi studi specifici, ma anche alla carriera di Giorgio Parisi, fisico teorico eclettico, ora presidente dell’Accademia dei Lincei fondata ai tempi di Galileo Galilei, che ha portato contributi fondamentali a tanti campi della fisica moderna.

Dai protoni agli spin

Dalle particelle elementari, all’inizio della sua carriera negli anni ’70, con il suo lavoro fondamentale per la comprensione per capire cosa succede quando due protoni, le particelle elementari positive per eccellenza, si scontrano, alla meccanica statistica, quella parte di fisica, molto sofisticata, che cerca di capire e prevedere il comportamento dei sistemi composti da tantissimi elementi, particelle o molecole, come per esempio i gas.

Poi ha lavorato sui vetri di spin, insiemi di microscopici magnetini ingabbiati in strutture rigide come cristalli che si dispongono in questa loro prigione in modo apparente disordinato, svelando la legge secondo cui in realtà si dispongono, dando ordine al disordine, una cifra costante della ricerca di Parisi, difficile e importantissima per le tecnologie moderne.

Ma il fisico teorico che si spreme le meningi per capire come si dispongono i grani di riso quando li versiamo in un vaso – interrogativo che farà sorridere il lettore ma che è di una complessità sconvolgente – ha sempre affiancato un aspetto pratico che lo ha portato fino a lavorare allo sviluppo di supercomputer per la fisica, uno dei compiti che addirittura Enrico Fermi nel dopoguerra assegnò ai suoi colleghi italiani.

La scuola di Enrico Fermi

Secondo il presidente dell’Istituto nazionale di Fisica, Antonio Zoccoli, «il grande merito di Parisi è stato non solo l’aver sempre contribuito in modo determinante ai settori cui si è dedicato, ma averlo anche fatto precorrendo i tempi».

Come spesso succede ai grandi scienziati, Parisi è spesso stato in grado di trasferire sul piano concreto i suoi lavori, cercando di applicare lo studio dei sistemi complessi a molte dinamiche della società: sue le importanti considerazioni sulla epidemia Covid, «la prima che abbiamo vinto», che ha fatto come presidente dei Lincei che, ricordiamo, è consulente primo per la Scienza del Presidente della Repubblica.

La lista di premi importanti assegnati negli anni a Giorgio Parisi per i suoi lavori sarebbe lunga molte righe: il Nobel, a 74 anni, corona una carriera densa di lavoro e soddisfazioni.

Riscaldamento globale al centro

Se è una gioia, e lo diciamo di cuore, per la fisica italiana, e per l’Italia intera, ovviamente, lo è doppiamente per la scuola di fisica teorica di Roma, partita da via Panisperna con Enrico Fermi e che ha avuto esponenti di eccellenza mondiale come Altarelli, Cabibbo, Jona-Lasinio, Maiani.

Per tornare a tutti e tre i vincitori, che si spartiranno il premio di 10 milioni di corone svedesi, circa 1 milione di euro la cui metà va a Parisi, il lavoro di Manabe e Hasselman ha permesso di sviluppare i primi modelli, oggi molto perfezionati, per la previsione e lo studio del riscaldamento globale, soprattutto per capire il ruolo fondamentale che vi giocano i micidiali gas serra, che la odierna società industriale produce a man bassa purtroppo.

Già nel 1960 Manabe, oggi novantenne, dimostrò l’importanza della circolazione e aumento della CO2 nel fenomeno del riscaldamento globale, mentre l’89enne Hasselmann negli anni ’70 perfezionò il primo modello di atmosfera che metteva insieme clima e comportamento atmosferico.