Il fisico, premiato nel 2021 e presente al Festival dell’Economia di Trento, riflette su scienza, progetti, famiglia, crisi della sinistra. E racconta gli amici francesi
di Paolo Bricco
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«Tutti i sistemi semplici si assomigliano, ogni sistema complesso è complesso a suo modo». C’è molto della divertente ironia e, anche, della finezza culturale e comunicativa di Giorgio Parisi, scienziato di vocazione e curioso conoscitore delle cose del mondo, premio Nobel per la fisica nel 2021 e nonno che scrive fiabe per i bambini. L’adattamento della teoria della fisica dei sistemi complessi – la definizione con cui si sintetizzano i suoi studi – all’incipit della Anna Karenina di Tolstoj («tutte le famiglie felici si assomigliano fra di loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo») racconta di un mondo – incarnato da Parisi, classe 1948 – in cui gli scienziati si misuravano (e ancora si misurano) con eguale passione con la modellistica e la sperimentazione, la società e la politica, la letteratura e gli affetti privati: «Ai nostri figli Lorenza e Leonardo, quando erano piccoli, io e mia moglie Daniella leggevamo spesso le fiabe italiane di Italo Calvino. Sarà per questo che io, da nonno, ho scritto tre fiabe per i nostri tre nipoti Martino, Teo e Giairo».
Trastevere, la vita e la malavita
Siamo alla Casa Internazionale delle Donne, pieno Trastevere, nel complesso chiamato “Il Buon Pastore”. Fino al Seicento, era un reclusorio femminile. Dagli anni 70, è diventato uno dei luoghi principali di quella comunità particolare – un tempo vitale e piena di contraddizioni, oggi agiata, esausta e disorientata – che è la sinistra romana. «Il quartiere – spiega Parisi, che dal 1978 al 1984 ha abitato in Via dei Fienaroli, vicino a Santa Maria in Trastevere – è sempre stato delimitato dal carcere maschile di Regina Coeli, che si trova qui a poche centinaia di metri, e dal carcere minorile di San Michele. A Trastevere, negli anni 70 e 80, c’erano la vita e la malavita. Contavano moltissimo i contrabbandieri, che dai popolani non erano nemmeno considerati fuori dalla legge. Avevano i banchetti stracolmi di Marlboro fuori dai negozi normali e osservavano gli stessi orari di apertura. In occasione di un referendum sui diritti nelle carceri, un funzionario del Pci mi disse, con più serietà che ironia, di avere fatto l’accordo anche con loro. I contrabbandieri erano un soggetto politico», sorride Parisi, che ben conosce la regolazione informale e liquida dei rapporti sociali di Roma fin dai tempi dei sonetti del Belli e, ancora prima, delle commedie di Plauto. L’Accademia dei Lincei, di cui Parisi è stato presidente e di cui ancora guida la componente scientifica, è a cinque minuti a piedi. Prima di sederci a tavola, sotto il gazebo predisposto dalle ragazze che gestiscono il ristorante, Parisi mi mostra il bellissimo giardino che regala una frescura e una ombra riposanti. Il caldo di giugno è clemente. La città è là fuori, come in un altro mondo: sembrano altrove la spazzatura in via della Lungara e, anche, il piccione e il gattino senza vita incastrati dentro l’acciottolato disconnesso della strada di una Roma addolorata per la sua mala gestio.
A Trento in dialogo con Irti e Mieli
«Quello è un banano», mi dice con voce squillante Parisi, che alterna timidezze da adulto ed entusiasmi da bambino, indicandomi una pianta rigogliosa del giardino. La cameriera della Casa Internazionale delle Donne elenca il menù di giornata. «Si mangia bene. Quando ho ospiti vengo sempre qui. Se invece sono da solo vado a prendere un pezzo di pizza al taglio», spiega Parisi, che è tra i premi Nobel che hanno partecipato al Festival dell’Economia di Trento in dialogo con il professor Natalino Irti e Paolo Mieli. Parisi sceglie un piatto di orecchiette condite del guanciale e con un soffritto di verdure, dall’apparenza molto invitante. Io invece vado su un piatto di ravioli di magro al sugo di pomodoro, basilico e olio crudo. Niente vino: a mezzogiorno, peraltro con questo accenno di caldo, non è consigliabile.
«Una infanzia da borghesia benestante»
«I paradigmi della complessità – dice – possono essere adoperati, come sfondo concettuale e metodologico, anche da altre scienze. Tuttavia, questo va fatto con molta prudenza. Il problema del punto di equilibrio, il tema del piccolo cambiamento che all’improvviso muta l’intero quadro e la questione della differenza fra il proposito iniziale e il risultato finale, come quando decido di andare in un luogo e invece mi trovo da tutt’altra parte, aprono scenari ermeneutici ed epistemologici di grande interesse per qualunque ricercatore delle cose della natura e dell’uomo. Anche se, naturalmente, occorre avere molta circospezione con un approccio che, nel suo adattamento a campi differenti, non può che essere più qualitativo che quantitativo. Alcune ibridazioni fra diversi campi del sapere, penso ad esempio alla sociobiologia, con il suo tentativo di trovare una interpretazione unica, unificante e in fondo sistemica dei comportamenti di tutte le specie animali, uomo incluso, non mi hanno mai convinto fino in fondo». Le orecchiette e i ravioli sono abbondanti. E, in pochi minuti, nulla resta nel piatto. Il nonno paterno di Parisi – Francesco, detto Ciccio – era un costruttore edile. Il padre Giuseppe – detto Peppino – era un commercialista («negli anni 30 fu il liquidatore di consorzi agrari a Benevento e ad Avellino, aveva un cospicuo patrimonio di immobili ereditato da mio nonno») che, poi, divenne dirigente della Cassa del Mezzogiorno. «Grazie a mio padre Peppino e a mia madre Nunzia, ho avuto una infanzia da borghesia benestante. Abbiamo abitato prima in via Salaria, poi in piazza Verdi, quindi in viale Parioli. Per inclinazione personale e su impulso di mio padre che era interessato alle materie quantitative mi iscrissi al liceo scientifico San Gabriele dei Fratelli di Montfort. All’università, scelsi di studiare Fisica a Roma, dove insegnava Nicola Cabibbo, che sarebbe stato poi il mio primo maestro».
La ricerca come avventura totale dell’uomo
Sotto il gazebo della Casa Internazionale delle Donne, intanto, arrivano normalissimi impiegati ministeriali in abiti di flanella grigia e agiate signore della borghesia romana di sinistra nei loro vestiti a fiori. Sembra di stare in uno degli ultimi Racconti romani di Alberto Moravia. «La crisi della sinistra è molto forte – riflette Parisi, che ancora adesso ha passione militante – io negli anni 70 ero vicino al gruppo del Manifesto. Apprezzavo il comunismo morale di Enrico Berlinguer. Anche se ho sempre preferito la vena critica e libertaria raccolta intorno al quotidiano di Lucio Magri, Rossana Rossanda e Valentino Parlato. Ritengo necessario un pensiero di sinistra. Con la globalizzazione e, adesso, con la de-globalizzazione, appare evidente che, mentre il mondo è diventato più ricco rispetto a trent’anni fa, sono aumentate le diseguaglianze interne ai singoli Paesi». Parisi appartiene a un mondo in cui l’intellettuale ha un profilo onnivoro e onnicomprensivo. Questo mondo è stato generato dall’ideale classico di Terenzio secondo cui Homo sum, humani nihil a me alienum puto. Una impostazione in cui, in fondo, anche l’attività scientifica – con le sue scoperte e i suoi fallimenti – è una avventura, totale, dell’uomo: «Il caso, nella scienza, conta molto. Come conta anche la perseveranza: basti pensare ad Albert Einstein, la cui idea sul fotone che assorbe e rilascia energia in maniera discontinua non fu creduta corretta per anni da grandi scienziati come Max Planck e Niels Bohr. Oggi, però, pesano altrettanto l’organizzazione e le risorse finanziarie», nota Parisi. Che aggiunge: «Ora la ricerca scientifica procede da una idea teorica, che viene sottoposta allo scrutinio delle simulazioni, per le quali servono computer sempre più potenti, che hanno costi crescenti, e studiosi per i quali servono contratti.
Le geografie personali
Poi, esistono le geografie personali. Io, ad esempio, ho sempre avuto un legame molto forte con i miei colleghi francesi. In tutti questi anni, ho passato periodicamente settimane, se non mesi, a Parigi». E, al ricordo dei quaranta scienziati dell’École Normale Supérieure che, a distanza, lo festeggiano brindando a champagne per il Nobel, mentre intanto a Roma il dipartimento di Fisica è felicemente “assaltato” dagli studenti, a Parisi brillano gli occhi. Per il secondo, entrambi compiamo una scelta parca e salutare. Parisi prende un piatto di scarola e di erbette. Io, invece, delle verdure grigliate, comunque servite con gustosi intingoli. «Uno dei miei amici francesi – ricorda – era Philippe Meyer, il figlio del finanziere André Meyer, l’uomo che fece della Lazard la prima banca d’affari al mondo. Veniva in laboratorio con la sua piccola Renault. Non sapevo chi fosse suo padre. Capii che apparteneva a una famiglia di grandissime possibilità economiche quando mi invitò a cena a casa sua, sull’Île Saint-Louis, la più piccola delle isole naturali della Senna dove abita soltanto chi, a Parigi, è ricco come Creso. Quando Philippe morì, il figlio Daniel donò a suo nome alla École Normale Supérieure 40 milioni di euro».
I vetri e la meccanica quantistica
Roma, Parigi, Stoccolma. L’Italia, l’Europa, il mondo. Il tempo che fugge. Arrivano in tavola i due caffè. «La città è cambiata. Qui una volta gli artigiani lavoravano il vetro. Alcuni avevano le officine in appartamenti vicino a piazza Navona. Adesso, tutti questi negozi di produzione sono scomparsi, mentre si sono moltiplicati i negozi commerciali». E, come in una analogia da romanzo di Italo Calvino, il vetro con la sua trasparenza, la sua quotidianità e la sua complessità ricompare mentre ci salutiamo: «Che cosa non ho ancora capito? Ho studiato molto i vetri. Quando, nella loro analisi, si introduce la meccanica quantistica sorgono questioni che, ancora, mi sfuggono», dice Giorgio Parisi, premio Nobel per la fisica e autore di favole per i bambini.