L’AIDS è una delle malattie più studiate degli ultimi anni e sono stati ottenuti risultati estremamente interessanti: il virus (HIV) è stato isolato, le proteine virali siano state identificate e i meccanismi di riproduzione virale sono ben compresi al livello della biologia molecolare. Nonostante questi successi siamo ancora molto lontani dal capire come, perché e quando la malattia si sviluppi negli individui infettati dal virus.
Subito dopo la scoperta del virus c’era stato un periodo di grande ottimismo: l’AIDS poteva essere caratterizzato dalla quasi scomparsa dei linfociti T4 (detti anche helper) e il virus infettava ed era capace di uccidere proprio questa e solo questa classe di linfociti. Tuttavia gli esperimenti successivi hanno dimostrato che nell’uomo il virus infetta una percentuale minuscola del totale dei linfociti T4 (circa l’un per cento) ed è attivo solo nell’un per cento dei linfociti infetti. Dato che in caso di necessità i linfociti si possono riprodurre molto velocemente la scomparsa dei linfociti T4 non può essere attribuita alla distruzione diretta da parte del virus: sembrerebbe invece che il virus (e le proteine da lui prodotte) interferiscono col normale funzionamento del sistema immunitario e con i sui meccanismi di autoregolamentazione, in maniera tale da portare lentamente il sistema immunitario ad un progressivo collasso al termine del quale si sviluppa l’AIDS. Al momento attuale non è chiaro quale siano le modalità di questo processo: vari meccanismi sono stati proposti, ma nessuno è sufficientemente convincente. I progressi in questa direzione sono molto lenti; il sistema immunitario è estremamente complesso (solo il sistema nervoso sembra avere una maggiore complessità) e i suoi meccanismi di autoregolamentazione sono molto poco noti. Inoltre, sfortunatamente per noi (ma fortunatamente per gli animali di laboratorio) le varie forme di virus, simili all’HIV, che attaccano le scimmie ed gli altri mammiferi, non producono forme patogene simili all’AIDS, per cui non è possibile fare esperimenti di laboratorio sulla genesi dell’AIDS.
Capire quando e perchè la malattia si sviluppa sarebbe un notevole passo avanti e aprirebbe forse la possibiltà di nuove terapie. Infatti il periodo di latenza del virus può variare da un anno a più di dieci anni e data la scala dei tempi non è nemmeno evidente se tutti i sieropositivi svilupperanno l’AIDS o se esiste una percentuali di individui, per esempio dell’ordine del 10 – 20 per cento, che sono immuni da questa malattia. In ogni caso circa il cinquanta per cento dei sieropositivi sviluppa l’AIDS entro una decina d’anni dal primo contatto col virus e non sono noti i fattori (endogeni o esogeni) che fanno passare dalla semplice sieropositività all’AIDS conclamato.
Recentemente è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine uno studio epidemiologico molto interessante che forse permetterà di fare dei passi avanti: i riceratori americani hanno analizzato le cartelle cliniche di 319 sieropositivi emofilici (il virus è stato immesso nell’organismo mediante trasfusioni), di cui 50 hanno sviluppato l’AIDS. I pazienti sono stati divisi in tre classi di età: 1-17, 18-34 e 35-70: un’analisi statstica mostra che nei soggetti più giovani la malattia impiega per svilupparsi un un tempo circa due volte superiore a quello necessario in pazienti di età intermedia e tre volte superiore a quello dei pazienti più anziani. Questi dati, se confermati da analisi su campioni più grande, sembrano indicare che in qualche modo il sistema immunitario è in grado di ritardare l’insorgere della malattia in maniera più efficente, più il sistema immunitario è attivo; infatti il timo, che è un organo fondamentale per lo sviluppo dei linfociti, si atrofizza alla pubertà. Questa indicazione è forse rafforzata del fatto che i bambini figli di madre sieropositiva, che vengono infettati durante il parto quando il sistema immunitario è ancora immaturo, sviluppano la malattia nettamente più rapidamente che gli adulti. Gli studi epidemiologici sembrano essere uno strumento chiave per la comprensione di questa malattia e sarebbe estremamente utile la costituzione di una banca internazionale di dati, in cui fossero immessi tutte le informazioni sui casi di AIDS, in maniera di facilitare l’accesso ai singoli ricercatori.