Apparentemente la scienza sembra una disciplina del tutto obiettiva: il contributo di un singolo scienziato consisterebbe nello studiare gli stessi fenomeni in modo più approfondito dei suoi predecessori. Questa visione può essere corretta nel periodo di scienza normale, non quando una data disciplina subisce dei cambiamenti profondi. Se un gruppo di ricercatori vuole portare avanti un progetto in comune, bisogna preliminarmente mettersi d’accordo su quali siano fenomeni sono interessanti (e quindi degli di essere studiati) e quali siano i criteri in base ai quali una spiegazione di un fenomeno viene accettata come una valida spiegazione scientifica. Queste scelte sono essenziali ed essendo necessario farle prima di iniziare la normale attività scientifica seguono una logica del tutto diversa da quella che guida il normale sviluppo della scienza. La fisica moderna è nata quando Galilei (con una scelta apparentemente arbitraria) decideva di studiare il moto dei corpi trascurando l’attrito, nonostante che un mondo senza attrito sarebbe completamente diverso da quello che conosciamo. Un cambiamento quindi di prospettiva in una disciplina ha spesso delle motivazioni e delle implicazioni che vanno al di la dello stretto ambito scientifico e che possono essere di interesse generale.
Negli ultimi venti anni una parte della fisica ha subito un cambiamento di questo tipo. I fenomeni che tradizionalmente erano studiati erano solo quelli riproducibili, ovvero quelli che si potevano effettuare in laboratorio e ripetere varie volte con gli stessi risultati. Questa scelta taglia fuori un gran numero di fenomeni difficili a riprodurre: basti pensare alla forma dei cristalli di neve, ognuno diverso dagli altri eppure tutti con la loro bellissima simmetria esagonale. La forma dei fulmini, dei frammenti di un vetro che si rompe, la spuma delle onde del mare erano fenomeni non riproducibili e quindi non soggetti all’analisi rigorosa della fisica sperimentale.
Negli anni settanta un gruppo di fisici incomincia a cambiare atteggiamento; non si cerca più di capire come mai un dato bicchiere si rompa in determinato modo (compito impossibile dato che tutti i bicchieri del nostro servizio si rompono in frammenti di forma differente) ma piuttosto di cerca di trovare quali siano le caratteristiche in comune di tutti i modi in cui i bicchieri si rompono: da un lato si cerca di classificare le forme irregolari che si presentano in questi fenomeni e dall’altro si richiede che la teoria sia in grado non di predire con precisione il fenomeno, ma semplicemente di dirci con che probabilità i fenomeni possano avvenire. Sistemi di questo tipo, in cui non è possibile fare previsioni certe, ma solo indicare delle probabilità diventano interessanti e parole come caotico, irregolare, impredicibile, che nel passato avevano un significato negativo acquistano ora un significato positivo.
Il libro gli Ordini del Caos (recentemente pubblicato da Manifestolibri, 126 pagine) cerca di raccontare come e perché è avvenuto questo cambiamento di prospettiva. Il libro (recentemente pubblicato da Manifestolibri, 126 pagine) è composto da un sostanzioso saggio di Marco d’Eramo e da interventi più corti di sei ricercatori. È difficile riassumere questo libro in cui questi sviluppi recenti sono analizzati da vari punti di vista; una caratteristica è l’uso di un linguaggio piano, non tecnico, facile da comprendersi. Inoltre si cerca sempre di sottolineare i legami sotterranei che ci sono tra la scienza e la cultura (per esempio tra gli infinitesimi di Leibnitz e l’estetica barocca). Una problematica molto interessante sollevata da questo libro è quanto il nostro stesso concetto di razionalità scientifica debba alla lunga cambiare alla luce di questo modificarsi di prospettiva della fisica.