La rivoluzione dimenticata (il pensiero scientifico greco e la scienza moderna) di Lucio Russo, (edito da Feltrinelli, lire 42000) è un libro di straodinario interesse. L’autore ripercorre la storia dello sviluppo scientifico nella Grecia ellenistica, negli ultimi secoli prima di Cristo, esamina con cura le scarse fonti rimasteci e arriva alla conclusione che in questo periodo la scienza greca era molto più avanzata di quello che comunemente pensiamo. Quello che ne resta nei trattati successivi che ci sono pervenuti, scritti per la buona parte secoli dopo, in epoca imperiale, è solo una piccola parte delle conoscenze accumulate allora, che si possono parzialmente ricostruire attraverso indizi sparsi qua e là.
A volte capita di stupirsi della modernità di alcune realizzazioni dei Greci, per esempio le operazioni chirurgiche per rimuovere la cateratta o il faro di Rodi che poteva essere visto a 40 kilometri di distanza. Russo sottolinea con forza che il nostro stupore nasce dalla convinzione diffusa che i Greci fossero vissuti in un’epoca prescientifica. Se al contrario accettiamo le sue tesi sullo sviluppo di una scienza e di una tecnologia avanzate in periodo ellenistico, i conti tornano: eventi che sembravano anomali, incomprensibili, con scienziati stranamente in anticipo di quasi duemila anni sui loro tempi, si collocano perfettamente nel nuovo quadro concettuale.
L’autore (che è anche un valente fisico matematico) esamina con accuratezza e con passione i vari campi del sapere, la matematica, le scienze naturali, la tecnologia, cercando di ricostruire (direi quasi di restaurare) il pensiero scientifico greco originale, scrostando i vari strati interpretativi e riportando alla luce i legami fra scienza e società, fra ricerca e attività produttive. Si tratta di un’analisi molto delicata in quanto molte fonti originali sono scomparse e bisogna destreggiarsi con citazioni di seconda mano, ma in molti casi gli argomenti presentati sono estremamente persuasivi e così legati tra di loro che ci convincono completamente.
Ma l’aspetto forse più attuale ed inquietante è un altro. Il libro è anche la storia della caduta in oblio di questa rivoluzione scientifica, avvenuta dopo l’invasione romana, del lentissimo recupero mediovale e rinascimentale per finire poi con una vera e propria rimozione a partire dal Settecento. Pensare che una rivoluzione scientifica di tale portata possa essere stata dimenticata, ci sembra talmente inconcepibile che stentiamo a crederlo. Bisogna tener conto di diversi fattori; Lucio Russo ne considera principalmente due: la conquista dei romani, un popolo allora molto più arretrato dei greci, e le modalità della trasmissione del sapere. Molta letteratura scientifica greca ci è arrivata tramite manuali o trattati posteriori e col passare del tempo le argomentazioni più avanzate diventavano incomprensibili e venivano espunte.
Un’esempio significativo riguarda la misura del meridiano con un errore inferiore all’un per cento, un’impresa scientifica molto impegnativa, in quanto era necessario misurare con precisione la distanza tra due città lontane. “Plinio riporta nella sua opera la misura del meridiano, attribuendola correttamente a Eratostene e mostrando ammirazione per il risultato. Racconta poi la storia di un certo Dionisodoro che, dopo morto, sarebbe sceso dal suo sepolcro fino al centro della Terra contando i passi necessari: ritornato nella tomba, vi avrebbe lasciato una lettera ai vivi con l’indicazione della distanza percorsa, 42.000 stadi. Plinio, che precisa che la lettera era firmata, dapprima mostra incredulità per la storia, ma poi spiega che dei `geometri’ erano riusciti a dedurre la lunghezza del meridiano, di 252.000 stadi, dalla lunghezza del raggio fornita da Dionisodoro”. Sembra incredibile che “scritti come questo di Plinio siano stati considerati per secoli capolavori della scienza antica, che avendo concentrato tutte le conoscenze degne di essere tramandate, avevano rese inutili le tante opere scientifiche perdute”.
Il lentissimo recupero della scienza Greca continuò, secondo Russo, per tutto il Rinascimento fino al Seicento (incluso). Molte delle invenzioni “originali” di questo periodo (l’idraulica, la costruzione dei fari, l’ottica…) non sono altro che l’effetto di una nuova capacità di comprendere i testi greci. Lo stesso Galileo, spesso presentato come colui che rompe con la tradizione aristotelica, riprende temi e argomenti ellenistici. La sua formulazione del principio d’inerzia ricalca quella di Erone, vecchia di quasi duemila anni: “Dimostreremo che i pesi che hanno una tale posizione [cioè su un piano orizzontale privo di attrito] possono essere mossi da una forza minore di qualsiasi forza data.”
All’epoca i protagonisti della rivoluzione scientifica Rinascimentale avevano ben presente questo loro debito di gratitudine verso la scienza greca. Nel settecento, “la scienza europea, convinta di poter finalmente camminare con le proprie gambe, visse, attraverso l’ideologia illuministica, un violento fenomeno di rigetto dall’antica cultura da cui era nata e di rimozione del suo ricordo. Fu allora che ci si convinse che la pneumatica fosse nata con Torricelli, seppellendo le opere pneumatiche di Erone e di Filone di Bisanzio nell’oblio in cui sono sostanzialmente rimaste fino ad ora; l’idea eliocentrica, che da sempre era stata legata al nome del suo ideatore, Aristarco, divenne l’idea `copernicana’ e Aristarco fu relegato nel ruolo di prematuro `precursore’. Tutti i ritrovati tecnologici ellenistici furono considerati dei `precursori’ delle loro imitazioni moderne. La storia millenaria di riflessioni sulla gravitazione fu cancellata anch’essa dalla conoscenza collettiva, che accettò che si fosse trattato di un parto improvviso del genio di Newton”.
Lucio Russo ci costringe a cambiare molte convinzioni consolidate sullo sviluppo della scienza, e la sua ricerca è paragonabile (come scrive Marcello Cini nella bella prefazione) “al tempo stesso ad una sensazionale scoperta archeologica e a una importante teoria scientifica”. Libri così sono estremamente rari.