Nell’immaginario collettivo il fisico è spesso raffigurato alla ricerca di nuove leggi. In realtà questo tipo di attività coinvolge un parte molto piccola della comunità scientifica; attualmente abbiamo una formulazione completa e soddisfacente delle leggi della fisica sulle scale che interessano le normali attività umane, nell’intervallo che va dalla fisica nucleare fino alle evoluzioni stellari, ed è opinione corrente che il futuro non dovrebbe riservarci sorprese; al contrario alle scale piccolissime (molto più piccole di un nucleo atomico) o alle grandissime scale (l’universo intero) ci sono molte cose che non comprendiamo e sotto certi rispetti brancoliamo nella più totale ignoranza.
Tuttavia, al contrario di quanto si potrebbe pensare, la conoscenza delle leggi di base non implica affatto una comprensione dei fenomeni. Le leggi della fisica sono spesso formulate come delle equazioni, la cui risoluzione permette in linea di principio di calcolare il moto dei componenti del sistema fisico considerato. Per esempio in astronomia le leggi della gravitazione universale di Newton (l’accelerazione è proporzionale alla forza e la forza gravitazionale fra due oggetti è proporzionale all’inverso del quadrato della distanza) determinano le traiettorie delle stelle e dei pianeti. Queste leggi sono note da più di tre secoli. In questo lasso di tempo generazioni e generazioni di astronomi si sono dedicati a cercare algoritmi tali da permettere di calcolare effettivamente le posizioni degli oggetti astronomici a partire da queste leggi.
Per capire bene la complessità di quest’impresa basta guardare una delle foto degli anelli di Saturno presa dal Voyager. Gli anelli non sono omogenei: si distinguono tre anelli, ciascuno dei quali si divide un una miriade di anelli più piccoli, separati da spazi vuoti. Attualmente sembra molto ragionevole pensare che questa complicatissima struttura sia determinata dagli effetti gravitazionali dei satelliti di Saturno sui minuscoli asteroidi (a volte di qualche decina di metri di diametro) che compongono gli anelli. Dedurre la forma di queste suddivisioni degli anelli dalle leggi di Newton è uno dei problemi aperti su cui gli astronomi stanno attualmente lavorando accanitamente facendo progressi molto lentamente.
Facciamo un altro esempio in campo differente della fisica. Attualmente al di la di ogni ragionevole dubbio è noto che su una scala microscopica gli elettroni interagiscono fra di loro respingendosi con una forza inversamente proporzionale al quadrato della distanza e che i loro movimenti siano regolati dalla meccanica quantistica. In questo indiscusso quadro concettuale non è affatto evidente perché e percome certi materiali diventino superconduttori ad una temperatura relativamente elevata, a soli 180 gradi sotto zero e non vicino allo zero assoluto (-273 gradi). Infatti la cosiddetta superconduttività ad alta temperatura è stata scoperta solo recentemente e nonostante l’enorme massa di dati accumulata in questi ultimi anni, siamo ben lontani dal capire le origini di questo fenomeno, che restano ancora misteriose. Anche se conosciamo le leggi che regolano il comportamento di ciascun elettrone, ci sfuggono le cause dell’emergere di questo comportamento collettivo degli elettroni che danno luogo alla superconduttività ad alta temperatura.
Al giorno d’oggi la vera difficoltà non sta nella formulazione delle leggi fondamentali in quanto esse sono già state determinate, ma nello scoprire le conseguenze di queste leggi e di formulare, o su base puramente sperimentale, o come conseguenza delle leggi basilari, delle leggi fenomenologiche del tipo “le molle si allungano proporzionalmente alla forza applicata”. Molto spesso un approccio deduttivo formale non porta a nulla; è necessario procedere basandosi sull’intuizione e per indizi (come il cacciatore), formulando ipotesi di lavoro ed effettuando semplificazioni successive; alla fine si ottiene un descrizione nitida, ma semplificata del fenomeno sulla quale si può costruire una teoria (la teoria della superconduttività, la teoria dei sistemi complessi, ecc.).
Questo miscuglio di intuizione e di deduzione permette di fare delle predizione sul comportamento di sistemi fisici, predizioni spesso verificate. In questo senso si legge spesso che la teoria del tal dei tali è stata confermata sperimentalmente, ma la parola teoria si riferisce quasi sempre non alle leggi di base, ormai al di là di ogni dubbio, ma proprio a questo procedimento per dedurre le leggi fenomenologiche.
La necessità di questo procedere quasi a tentoni, per tentativi successivi, è legata al fatto che è estremamente piccolo il numero dei sistemi fisici per i quali, date le leggi fondamentali del moto, siamo in grado di descrivere il comportamento in maniera dettagliata, quantitativa. Infatti, se il sistema è composto da un grande numero di oggetti elementari che interagiscono fra di loro, diventa impossibile seguire, anche concettualmente, le traiettorie delle singole particelle: è necessario studiare il sistema da un punto di vista statistico, calcolando per esempio la velocità media delle particelle, ed è difficile far ciò senza effettuare approssimazioni, che in molti casi si possono rivelare disastrose.
A parte rare eccezioni, una comprensione completa dei fenomeni si può ottenere solo quando il comportamento del sistema è lineare, cioè quando la reazione di ogni componente del sistema è proporzionale alla perturbazione esterna, come per esempio nelle molle di buona qualità, dove l’allungamento è proporzionale alla forza. Una bilancia di buona qualità è il classico esempio di un sistema lineare. Per esempio se due persone si pesano separatamente e ciascuna di esse produce uno spostamento dell’ago della bilancia di sei centimetri, l’ago di una bilancia lineare si deve spostare di dodici centimetri quando le due persone si pesano contemporaneamente; se invece l’ago si sposta di più (o di meno) siamo in presenza un fenomeno non-lineare..
La linearità induce delle semplificazioni enormi nello studio di un sistema. Per esempio, se devo descrivere il comportamento di un sistema composto di molle a cui sono attaccati dei pesi, nel caso lineare l’allungamento subito da una molla quando aggiungo un nuovo peso non dipende dal numero di pesi già presenti e può essere calcolato o misurato una volta per tutte. Al contrario nel caso non-lineare l’allungamento della molla dipende crucialmente dal numero di pesi già presenti. Un caso limite si ha se la molla si rompe quando il numero di pesi supera un valore massimo: in tal caso il comportamento qualitativo del sistema (la molla si rompe o non si rompe) quando aggiungo un peso dipende crucialmente dal fatto se altri pesi erano stati precedentemente aggiunti.
Se si studia in dettaglio il comportamento di sistemi composti da componenti lineari che interagiscono fra di loro, ci si rendo conto che la linearità permette di considerare l’interazione fra due componenti indipendentemente dal resto del sistema. Questa proprietà ci da la possibilità di ricondurre lo studio di un sistema con un gran numero di componenti allo studio estremamente più facile di un sistema con sole due componenti.
Lo stesso oggetto fisico, a secondo dei casi, può essere più o meno bene approssimato da un sistema lineare. Consideriamo per esempio le onde del mare (o di un lago) e distinguiamo due casi: piccole e grandi onde. Quando due piccole onde si incontrano, esse formano per un istante un’onda alta esattamente la somma delle due altezze e poi si separano, continuando imperterrite per la loro strada, con la stessa altezza di prima, come se non si fossero mai incontrate: in questo caso il sistema è con ottima approssimazione lineare e un’equazione lineare per l’altezza delle onde descrive molto bene la situazione.
Un esperimento per verificare questa affermazione è molto facile a fare: proviamo a gettare un sassolino in un laghetto: vedremo formarsi delle piccole increspature perfettamente concentriche che si allontanano dal punto in cui il sassolino è caduto. Se invece lanciamo due sassolini, vedremo le due onde scontrarsi, separarsi e formare due sistemi di onde concentriche indipendentemente le une dalle altre.
Al contrario, quando le onde sono alte (per esempio dei cavalloni marini) e si scontrano, durante la collisione avvengono fenomeni violenti, l’acqua schizza da tutte le parti e le onde si possono frangere; in ogni caso esse perdono parte della loro energia ed escono dalla collisione meno alte di prima. In questo caso il moto di un’onda dipende crucialmente dalla presenza di un’altra ed il sistema è fortemente non-lineare.
Un tecnica usatissima nello studio dei sistemi non-lineari consiste nel supporre che la non-linearità sia piccola. Si studia preliminarmente il comportamento del sistema supponendo che esso sia lineare; successivamente si calcola come gli effetti non-lineari (trascurati fino a questo punto) perturbino l’evoluzione del sistema. Questo metodo, chiamato teoria delle perturbazioni, è perfetto se gli effetti non-lineari sono piccoli e funziona generalmente bene se la non-linearità non cambia il comportamento qualitativo del sistema; se al contrario la non-linearità induce fenomeni nuovi, come il frangersi delle onde, questi non verranno certamente descritti dalla teoria delle perturbazioni.
In quest’ultimo caso lo studio del sistema diventa molto più difficile e anche molto più interessante; molto spesso si procede derivando (o ipotizzando) delle equazioni che descrivano il comportamento dei nuovi fenomeni. Per esempio nel caso delle onde marine che si rompono (si tratta di un problema estremamente difficile che non credo sia stato mai studiato in grande dettaglio) possiamo provare a scrivere un’equazione per l’acqua e un’equazione direttamente per la spuma, senza cimentarsi nel compito praticamente impossibile di descrivere la spuma dando le coordinate delle singole goccioline d’acqua che la compongono. Anche se le equazioni che descrivono i nuovi fenomeni sono approssimate e possono contenere dei parametri di difficile stima teorica (che spesso vengono presi dell’esperimento) esse sono uno strumento indispensabile.
Sfortunatamente nella gran parte dei casi le nuove equazioni sono anch’esse non-lineari e non sono facili da trattare: si ritorna al problema di partenza (studio di un sistema non-lineare) ad un livello più alto di astrazione. Si può andare avanti trattando le nuove equazioni come lineari (in prima approssimazione) e introducendo una nuova teoria delle perturbazioni; se anche in questo caso l’approssimazione lineare è qualitativamente scorretta bisogna ancora una volta cercare d’isolare i fenomeni qualitativamente nuovi, scrivere nuove equazioni e ricominciare da capo.
A volte questo procedimento non funziona e tutto diventa molto più difficile; questo accade in presenza di effetti non-lineari irriducibili a quelli lineari (per esempio nel caso di un comportamento caotico, come quello descritto nel contributo di ). Una teoria generale dei sistemi non-lineari non è attualmente disponibile e solo in alcuni casi fortunati esiste una trattazione teorica soddisfacente che non faccia uso della teoria delle perturbazioni rispetto ad un sistema lineare. Molti di questi problemi fortemente non-lineari rimangono come dei puzzles irrisolti attorno ai quali si concentra l’attività dei fisici e molto spesso l’unica soluzione disponibile (in fondo poco elegante) per studiare questi sistemi consiste nel simularne il comportamento con un calcolatore.